Sabato 2 maggio, alle 21.15, è andato in onda Bersaglio Mobile di Enrico Mentana su La7. Titolo della puntata “Il massacro nascosto” un’inchiesta di Guy Chiappaventi e Flavia Filippi sulla gestione della pandemia fondamentalmente nella zona della bergamasca e in Val Seriana.
È possibile vedere la puntata qui: https://www.la7.it/bersaglio-mobile/rivedila7/speciale-bersaglio-mobile-il-massacro-nascosto-puntata-del-02052020-02-05-2020-322722

Premesso che le testimonianze di chi ha perso i propri cari sono state oltremodo dolorose e scioccanti da ascoltare, e che quello che segue non vuole essere un articolo teso a sminuire la gravità di quanto accaduto, da giornalista sento profondamente il dovere (sottolineo, il dovere) di esprimere la mia opinione su alcune scelte fatte dai giornalisti che hanno condotto l’inchiesta.
Un’inchiesta dovrebbe raccogliere testimonianze, ma anche metterle in relazione fra loro. E questa relazione deve essere il giornalista a trovarla, attenendosi però rigorosamente ai fatti. Il giornalista è tenuto, eticamente e deontologicamente, a verificare le fonti e riportare il vero.
Al contrario il giornalista non è obbligato da nessuna legge o codice deontologico, a cercare lo scoop a tutti i costi.
Ora, mi sembra che nella parte della trasmissione che ha dato spazio alla voce imprenditoriale della Val Seriana, scopo mal celato della giornalista che ha condotto le interviste sia stato solo quello di una caccia alla strega verso una classe imprenditoriale che si è cercato di rendere rea confessa di aver ostacolato la creazione della Zona Rossa quando ancora si potevano limitare i danni per evitare la perdita di profitto.
Alcuni interventi andati in onda (in rosso i miei commenti).
Intervista a Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo (minuto 1:16:10)

Alla domanda volta a sottolineare il ritardo ammette che i bergamaschi hanno fatto fatica ad accettare a fermarsi, ma che non sono stati solo gli imprenditori. Alla fine di febbraio al di fuori della Zona Rossa di Lodi tutti (politici, virologi, ecc) dicevano che la vita poteva proseguire. Quindi non si può fare del video #bergamononsiferma più di tanto un caso. La Lombardia era Zona Gialla, ma bar e ristoranti erano aperti, con indicazioni sulle distanze dal bancone, avventori solo seduti, ecc (ricordate tutti, vero, che nessuno percepiva il pericolo incombente?). Poi è precipitato tutto. A inizio marzo si inizia a comprendere la gravità della situazione e ognuno era preoccupato per il proprio futuro. E un imprenditore preoccupato per il proprio futuro a cosa pensa? A come tutelare la propria attività.
Come dare torto a tale risposta: ogni azione e comportamento devono essere contestualizzati nel momento in cui avvengono perché dipendono in larga parte dalle condizioni al contorno. Basta demonizzare gratuitamente gli imprenditori: come loro pensavano al futuro delle loro aziende, così la gente comune (compresi i loro dipendenti e concittadini) pensava a fare shopping, aperitivi, andare al bar e ai mercati, quindi cui prodest dire che l’imprenditore ha sbagliato e la gente comune no? Per non parlare delle tante azioni di politici di ogni livello proprio a sostegno del non fermarsi (cito solo come esempi Giuseppe Sala, Sindaco di Milano; Nicola Zingaretti, Segretario del Pd).
Intervista a Stefano Scaglia, presidente Confindustria Bergamo (dal minuto 1:16:25)

La giornalista esordisce con “Per fortuna lei si è scusato per quel video #bergamoisrunning del 28 febbraio” cui Scaglia risponde che (riassumendo) il 28 febbraio era prima di tutto, quando non c’erano ancora segnali evidenti di un problema di tale dimensione all’orizzonte; gente ed istituzioni erano impegnate a condurre la solita vita, le solite attività e il video dipingeva la situazione del momento. Con il senno di poi e la velocità con cui è precipitata la situazione facile dire che il video era fuori luogo. La frase iniziale della giornalista è un’affermazione. A tal guisa, perché non chiedere allora le pubbliche scuse anche di tutti i politici che hanno contribuito al ritardo del lockdown con le loro azioni?
Di nuovo la giornalista: “Ora che si è capito cosa è derivato dal ritardo della dichiarazione della Zona Rossa in Val Seriana, nessuno ammette di aver sbagliato ad osteggiare il lockdown” cui Scaglia risponde (sempre riassumendo) che Confindustria Bergamo non aveva preso una posizione ufficiale né pro né contro il lockdown e che ha collaborato con le istituzioni fornendo le informazioni che avevano richiesto in merito alle aziende insediate sul territorio. Confindustria Bergamo è sempre stata consapevole di non avere né le necessarie informazioni, né l’autorità per decidere sulla necessità di un lockdown. Anche in questo caso la giornalista non pone una domanda, ma un’affermazione. Il tono è innegabilmente da inquisizione e caccia alle streghe.
La giornalista insiste: “È stato il PIL a decidere che la Val Seriana non sarebbe diventata Zona Rossa?”. Scaglia rifiuta recisamente questa interpretazione e si augura che chi era nel Consiglio dei Ministri, che ha poi deciso per il lockdown, abbia preso tale decisione considerando tutti gli aspetti della vicenda, non solo quello economico, ma anche quello sanitario e quello sociale. Non avendo Confindustria Bergamo e Scaglia partecipato alla decisione finale, la domanda potrebbe suonare come una velata accusa di corruzione? Si, potrebbe. Di fatto scredita agli occhi (e orecchie) dei meno attenti tutta la comunità imprenditoriale rappresentata da Confindustria Bergamo.
Intervista a Marcello Persico dell’azienda Persico (minuti 1:20:34)

La giornalista esordisce: “A inizio marzo anche voi di Persico avete cercato di evitare la Zona Rossa nella prima settimana di marzo”. Marcello Persico, titolare dell’omonima azienda, dichiara di aver interloquito con le istituzioni per capire le modalità con cui si sarebbe applicata la chiusura perché gli impianti produttivi di molte aziende non si spengono semplicemente abbassando un interruttore, ma ci vogliono giorni per fermarli. E lo stesso dicasi del personale: si tratta di aziende fortemente internazionali, che richiamano personale altamente specializzato da tutto il Mondo e non solo dall’Italia. Bisognava capire come gestire queste persone che sarebbero rimaste isolate dai propri famigliari per un tempo non meglio determinato. Si doveva dare risposte a dubbi e paure del personale.
Nonostante la razionalità della risposta, la giornalista incalza: “Avete parlato con le istituzioni o fatto pressioni sulle istituzioni?”. Marcello Persico risponde che hanno parlato con le istituzioni per ottenere informazioni, ma alla fine sono state le aziende a crearsi in autonomia una sorta di Zona Rossa, perché se dal 16 marzo l’aziende sono state chiuse, comunque già ai primi di marzo, mentre le Istituzioni lasciavano che si facessero mercati, si consumassero aperitivi e si giocassero partite di calcio, gli imprenditori si erano riuniti per cominciare a capire come cambiare il modo di lavorare.
Intervista a Giovanni Fassi di Fassi Gru (minuto 1:23:15)

Fassi è un Gruppo da 600 dipendenti in Italia e altri 600 all’estero. 340 milioni di fatturato nel 2019, secondo costruttore di gru al mondo (senza specificare retrocabina, molti dei telespettatori si saranno chiesti dove fossero le gru a torre nelle immagini che sono scorse mentre parlava Giovanni Fassi. Ma le aziende non hanno diritto alla precisione giornalistica, a quanto pare).
Attacca la giornalista: “Il senso dei bergamaschi per il lavoro e forse anche per il profitto ha fatto si che qui non ci fosse la Zona Rossa?”
Giovanni Fassi: “Il senso dei bergamaschi per il profitto… non la capisco. Nel senso che per le aziende l’importante logicamente è il profitto, l’imprenditore deve fare profitto. Però attenzione, non abbiamo vissuto un momento normale, abbiamo vissuto un momento straordinario. Il profitto è venuto sicuramente, penso di parlare per tutti, dopo quello che è successo. Nel senso che noi ci siamo trovati a gestire delle società, a gestire delle produzioni senza il personale. Per cui non era il profitto, il nostro problema. Il nostro problema era veramente tenere in sicurezza le persone.” Qui mi permetto di aggiungere una riflessione stile paradosso: se gli imprenditori avessero guardato solo ed esclusivamente al profitto, probabilmente avrebbero invocato a gran voce il lockdown per evitare che le proprie maestranze altamente specializzate fossero decimate dal virus. Ecco, qui traspare l’assurdità di pensare che persone (gli imprenditori) abituate a gestire situazioni complesse come un’azienda con centinaia di operai che opera in decine di Paesi nel Mondo possano prendere decisioni sulla base di un unico motivo. È ora di smettere di assimilare gli imprenditori a figure come L’avaro di Moliere e iniziare a capire che siamo tutti parte di un sistema che quando gira, gira bene per tutti: e ognuno deve svolgere il lavoro che ha scelto di svolgere nella società. Quindi si, non è amorale che un imprenditore persegua il profitto, ma credo sia sotto gli occhi di tutti che gli imprenditori bergamaschi perseguano il profitto con aziende altamente evolute che assicurano e distribuiscono benessere sociale a tutto il territorio e tessuto sociale. E non mi sembra che schiavizzino o prendano i soldi e scappino, lasciando chi resta in mutande. Ma a quanto pare il pensare comune di cui la giornalista sembra essere la portavoce la pensa così, visto che prosegue ignorando anche tutto l’aspetto di empatia umana che c’era nella risposta di Giovanni Fassi e rilancia una seconda domanda che può essere definita provocatoria.
Giovanni Fassi risponde con una franchezza che in pochi osano davanti a una telecamera. “Quindi se qualcuno le dice che la Zona Rossa in Val Seriana non è stata fatta per le pressioni degli industriali, lei si offende?”
“Cazzate, me lo lasci dire, cazzate. Chiunque può fare le pressioni che vuole, ma chi deve decidere, deve decidere. È stata una decisione non presa, per cui che poi adesso si venga a fare la caccia alle streghe e recriminare contro uno o contro l’altro sul perché non è stata fatta… una persona la doveva fare si chiama Conte o Governo, eventualmente Regione Lombardia”. Ecco, inutile recriminare sterilmente sul latte versato. L’inchiesta era l’occasione per parlare del futuro, delle problematiche e per lanciare un appello al Governo a non commettere lo stesso errore, ossia procrastinare decisioni che stanno diventando sempre più impellenti (questa volta sul fronte dell’emergenza economica che si sta materializzando molto rapidamente). Per ripartire serve che gli aiuti statali e UE arrivino direttamente a famiglie e imprese, non che si perdano in mille rigagnoli burocratici. Questo, dopo la catastrofe sociale e umana, è sicuramente il secondo grave pericolo che incombe sulla Val Seriana e sull’Italia tutta. Attenzione quindi, perché dopo aver perso decine di migliaia di vite, rischiamo di perdere decine di migliaia di posti di lavoro (con le pesantissime conseguenze sociali e umane).